Prosegue con Valentina Brancaforte il viaggio di Unframed, la rassegna dedicata alla fotografia emergente nata con l’intento di mettere in luce alcune delle proposte più interessanti del panorama contemporaneo.
Dopo il primo incontro dedicato al pesarese Diego Drudi, lasciamo la terraferma per addentrarci nel silenzio di Buscemi, un antico borgo siciliano legato alle origini dell’autrice e a quelle della giovane protagonista di “Paîs”, Chiara Lucia. Insieme scopriremo da dove nasce il desiderio di raccontare la quotidianità “dilatata” di un’adolescente all’interno di un borgo che lentamente si sta sempre più spopolando e sembra avere ben poco da offrire, soprattutto in un’età affamata di stimoli e ritmo.
Testo dell’intervista
Benvenuti al secondo incontro di Unframed, lo spazio che Macula dedica alla fotografia emergente; oggi è con noi Valentina Brancaforte, che saluto, autrice siciliana del progetto Paîs che abbiamo introdotto durante l’evento inaugurale della rassegna e al quale oggi avremo modo di avvicinarci un po’ di più. Io partirei proprio dal titolo, che ben rappresenta l’essenza di questo lavoro. Che cos’è Paîs?
Paîs è un termine greco che indica un fanciullo nell’età fra i 12 e i 15 anni. Questo racconto fotografico, Paîs, parla di una ragazzina, Chiara Lucia, che quando ho iniziato il progetto aveva 12 anni e adesso è già passato un anno. Una ragazza che vive in un paese siciliano dell’entroterra, Buscemi, dove si trova la seconda collocazione del titolo del progetto Paîs perché ricorda molto il modo dialettale che noi siciliani attribuiamo ai nostri paesi, ovvero paisi, quindi è un termine che per me indica proprio questo connubio tra la vita di questa ragazza giovane e un borgo siciliano.
Ed è un connubio, questo, con cui con condividi un legame anche tu, perché so che Buscemi è anche il paese di origine del tuo papà. Quindi forse un lavoro anche sulla tua storia, il che mi porta a chiederti: qual è la tua relazione con il tempo e con la memoria e, sotto questo punto di vista, quali sono i punti di contatto tra te e Chiara Lucia?
Chiara Lucia ha 13 anni adesso, quindi è in una fase della vita in cui per lei il tempo davanti è infinito ed è un po’ anche il momento in cui ho vissuto maggiormente questo paese perché essendo il paese di mio padre andavo lì per le vacanze estive a trovare i nonni, in una fase molto spensierata: avevo qualche amico, soprattutto una cara amica che abitava lì, quindi l’estate, le feste, le passeggiate a contatto con la natura e comunque rispetto a una città un modo di vivere la quotidianità molto più libero e per strada. Il progetto non ti nego che nasce da una doppia esigenza: innanzitutto nasce in un periodo in cui eravamo appena ritornati alla vita dopo la chiusura Covid, e quindi c’era la voglia di riaffacciarsi a un ambiente rurale, immerso nella natura, e poi anche perché io invece inizio a sentire un po’ questo sgretolarsi della memoria familiare, un po’ perché ho perso i nonni, tutti; inizio a sentire l’avanzare dell’età – la mia e quella dei miei genitori – e quindi è un po’ il desiderio di ricucire…non di fermare il tempo, perché credo che sia corretto vivere questo flusso e la vita; però la voglia di lasciare delle tracce che sia un riagganciarsi al mio passato, riunire i puntini, quello sì.
Mi piace molto il termine che hai usato: “ricucire” una memoria familiare, e tu lo stai facendo attraverso il racconto della quotidianità di un’altra giovane donna, che è Chiara Lucia. Com’è stato intessere questa relazione?
Sicuramente rispetto a quello che immaginavo è stata una scoperta, nel senso che molte sfaccettature della storia di Chiara si sono presentate man mano. Il primo approccio indubbiamente è stato passare attraverso i genitori, perché essendo una bambina quando l’ho conosciuta non la vedevo da parecchi anni, perché in paese per diversi anni non sono più andata per nessuna occasione, quindi avevo un ricordo di Chiara di quando aveva 10 anni, forse anche meno…forse anche 8. Per cui avevo un’idea e adesso conoscendola, nella quotidianità, sono uscite fuori tante cose che non mi aspettavo ed è anche questo il motivo che mi ha portato a scegliere questa storia tra le tante che potevo raccontare.
Entrare nella sua quotidianità è strano perché c’è una differenza di età che non è tantissima però ti fa vedere un po’ come vivono i ragazzi adolescenti in questo periodo storico segnato da tante particolarità – la pandemia, la diffusione dei social – e quindi una parte di relazione tra me e Chiara si è instaurata anche attraverso i social. Io la seguo su Instagram, vedo che relazioni ha lì con i suoi amici, anche perché nella quotidianità certe cose non le ho potute neanche vedere più di tanto, perché tra chiusure e richiusure, anche le relazioni con le amiche non era così facile tenerle, poterle vivere quotidianamente.
Oltretutto lei vive parecchio fuori dal paese, cioè la scuola, le attività sportive e le amicizie che frequenta più spesso stanno nei paesi limitrofi o nelle città più grandi. Quindi la quotidianità ha più un sapore di tempo rilassato quando è a casa, oppure nei compiti, cioè lei vive il paese più per la parte di rifugio nella natura, che è una vita sociale vera e propria, al di là che la socialità di tutti è stata impattata da questo periodo. È un rapporto che si sta ancora costruendo e che ho vissuto in maniera secondo me dilatata, proprio per il periodo storico che stiamo vivendo, ma d’altra parte è stata anche una facilitazione perché essendo lei lontana dalle amiche mi ha visto un po’ come un punto di riferimento quando sono arrivata, quindi era molto felice del fatto che una presenza femminile fosse entrata nella sua vita e che avesse un’attenzione nei suoi confronti.
Immagino che l’imprevedibilità data dal momento non abbia di certo agevolato l’organizzazione e la programmazione del progetto. Se penso a questo e alla natura aperta e a lungo termine del tuo racconto, mi chiedo se in qualche modo questi fattori possano aver alterato la direzione rispetto alle tue intenzioni o aspettative iniziali o se magari è cambiato anche il focus della narrazione. Qual è stata l’evoluzione?
Assolutamente il lavoro è cambiato nel tempo e credo che continuerà a cambiare. Io ero partita da un’idea molto romantica di spensieratezza di questa età e poi in realtà mi son trovata davanti una situazione in cui Chiara in paese non vive questa socialità con gli altri ragazzi. Ci sono poche ragazze della sua età e lei non le frequenta; frequenta più gente di fuori per varie vicissitudini. Lei vive una vita di chi ha un’età più adulta, come se fosse già arrivato quel momento in cui è quasi necessario staccarsi da un paese che ti offre poco come possibilità, cosa che succede in realtà in età più adulta solitamente.
E in questa vicenda la vita di Chiara ne risente nei rapporti con i ragazzi della propria età, perché non la vedono né come una ragazza che appartiene a Buscemi, né una ragazza che ha il loro stesso stile di vita, quindi molte cose – come dicevo – le ho scoperte man mano, cioè mi aspettavo appunto di vedere la generazione degli adolescenti che escono e vanno tutti insieme a fare la passeggiata e invece ho trovato altro. Per cui l’immaginario si è modificato nel tempo e anche il modo di raccontare magari era partito più in maniera reportagistica classica e adesso si è evoluto più su una sfera evocativa, perché da una parte voglio raccontare le cose che vedo ma non voglio marcarle più di tanto per una sorta di delicatezza e sensibilità che ho nei confronti della storia che sto raccontando.
Hai toccato uno degli aspetti forse più caratterizzanti del tuo progetto, ovvero la coesistenza di uno sguardo reportagistico e un linguaggio più metaforico o evocativo, come lo hai definito tu. Può essere che questa cifra stilistica sia anche figlia del rapporto che man mano tu hai scoperto esistere tra Chiara Lucia e il borgo? O c’è anche un altro intento alla base?
Sì, sicuramente questo è uno dei motivi. L’altro motivo probabilmente è quello di affidare a queste immagini il compito di portare la narrazione su un livello più sentimentale, se vogliamo; quindi offrire a chi si trova davanti queste immagini la possibilità di entrare in empatia con la storia di Chiara Lucia, non tanto guardando la descrizione di un borgo che insomma…i borghi siciliani ce li hanno raccontati in tutti i modi possibili e immaginabili, sia in cinematografia che in letteratura, ma piuttosto per raccontare come ci si possa sentire.
È una storia personale che un po’ mi ricorda anche quello che ho vissuto io in passato, perché poi tornano alla mente tanti ricordi di episodi vissuti con gli amici che avevo, però è una storia che in questo modo può diventare anche più generale, più collettiva. È un modo di raccontare quello che mi interessa veramente, ovvero come si sente una persona di talento, di quell’età, in un paese che purtroppo si sta spopolando e offre pochissimo.
Prima si parlava degli ostacoli rappresentati dalle chiusure e dalle restrizioni Covid: al di là di questi fattori, decisamente non marginali, ci sono state altre difficoltà che ti si sono presentate davanti?
Sicuramente le restrizioni sono state il motivo principale, però come dicevo la storia si riaggancia anche al mio personale, quindi a volte anche affrontare in famiglia certe “rievocazioni” non è stato semplice; perché poi certi ricordi ritornano a tutti, non soltanto a chi va a fare le fotografie.
Un’altra cosa – che è forse più una difficoltà emotiva, che non mi ha fermato nell’andare avanti con il progetto ma che sicuramente in alcuni momenti ho avvertito – ho sentito un po’ il peso delle cose, ma non soltanto a livello di storia personale. A volte nell’entrare nella vita di alcune persone purtroppo ci si trova davanti anche alle difficoltà che stanno affrontando quelle persone, quindi non sai bene come gestirla, in che modo porti o quanta sensibilità mettere nel raccontare, nell’escludere, nell’affrontare anche con loro i momenti non sempre felici che si affrontano nella vita di tutti.
Sarà anche il tipo di persona che sono, l’empatia poi che si crea con gli altri che mette un po’ in difficoltà, però cose superabilissime, non ci sono scogli insormontabili.
Come chiusura ti chiedo: qual è stato il consiglio più utile che hai ricevuto nel tuo percorso fotografico e quale daresti a chi sta iniziando o sta già fotografando?
Guarda ti dirò un consiglio forse che sembra strano ma per me è stato estremamente utile anche nell’affrontare questa vicenda: leggere tantissimo, perché in realtà l’immaginario visivo va coltivato non soltanto attraverso lo studio di altri fotografi e altre immagini ma anche attraverso i racconti che poi si trasformano in visioni. Quindi sì, leggere tanto: è il consiglio più utile che mi hanno dato e che vorrei dare a chi decide di dedicarsi alla fotografia.
Grazie Valentina Brancaforte per il tempo che ci hai dedicato, sperando che ce ne sia dell’altro in futuro magari per riprendere le fila di questo tuo progetto e vedere dove sta andando. Grazie e a presto.
Speriamo, molto volentieri. Grazie.
Valentina Brancaforte
Catanese, classe 1983.
Si concentra su tematiche sociali legate alla ricerca dell’identità dei popoli nei paesi e nei luoghi più remoti del mondo, ma anche e soprattutto nella sua Sicilia.